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L'arte dell'Oceania

Gli antropologi considerano l’Oceania una grande cultura del Pacifico, che giungeva fino alla costa pacifica del Sud America e alle isole dell’Asia. Se oggi siamo portati a considerare le diverse espressioni artistiche di quest’area come autonome, in realtà, molti elementi in comune.

Possiamo, comunque, individuare tre principali aree etniche dell’Oceania: l’Australia, la Nuova Zelanda e gli arcipelaghi del Pacifico. In tutte, la produzione artistica fa uso di materiali locali, sia per la realizzazione di manufatti d’uso, sia per opere a scopo rituale e religioso. I materiali sono poveri: legno, rafia, vimini; essi venivano utilizzati per realizzare grandi maschere colorate, oggetti d’uso comune, tessuti (ad esempio il tapa, tratto dalla corteccia degli alberi);  prevale la decorazione bidimensionale e lineare, con figure stilizzate di uomini e animali. L’arte è legata prevalentemente alle credenze religiose, che sono rimaste pressoché immutate nel tempo. Le statue e gli oggetti legati a cerimonie rituali presentano in comune il carattere simbolico e la grande forza espressiva. Ricordiamo i grandi totem in legno dipinto, che venivano distrutti dopo i riti in commemorazione dei defunti; le statue raffiguranti divinità o le piccole sculture lignee degli avi; le maschere magiche, che nelle isole della Melanesia sono vivacemente dipinte; le sedie cerimoniali con schienale in forma umana, che riproducono le fattezze dello spirito, invitato a sedervisi durante le celebrazioni. Di particolare interesse sono le figurazioni dipinte o incise sulla roccia, a soggetto antropomorfo o riferite a divinità della creazione.

I moais dell’Isola di Pasqua

Nell’Isola di Pasqua, in Polinesia, sono state trovate circa 600 statue monolitiche. Sono i moais, scolpiti nella pietra vulcanica dell’isola, e misurano da cinque a dodici metri. Essi rappresentano figure umane scolpite in forme essenziali e a mezzo busto. Particolare evidenza assume la testa, allungata e con il naso appuntito. I monoliti, collocati su colline prospicienti il mare, erano probabilmente legati a significati religiosi. Risultano essere testimonianze di una civiltà sviluppatasi tra il X e il XVI secolo, e forse testimoniano contatti con l’arte dell’America meridionale.

L’arte aborigena contemporanea

Le produzioni artistiche delle culture aborigene sopravvissute sono l’espressione disperata di difesa della propria identità da parte di popolazioni che contano appena trecentomila individui. Solo negli ultimi decenni l’Occidente ne ha scoperto il valore estetico. Le pitture presentano ancora tracce delle antiche figurazioni dei totem e confermano il valore del sogno, considerato carico di verità. Esse, dunque, sembrano portare la presenza di forze superiori, pronte a manifestarsi in forme naturali proprio attraverso l’opera artistica. Ecco allora che la realtà rivela il suo significato sacro e le opere d’arte assumono un carattere magico, in quanto elementi di mediazione tra lo spirito e la realtà dell’uomo. Per questo motivo, gli artisti aborigeni sono considerati vicini alle divinità; essi sanno cogliere quanto di sacro presenta la natura, i suoi aspetti nascosti e misteriosi. L’arte degli Aborigeni conserva un sapore primitivo, nonostante gli artisti abbiano ormai fatto propri nuovi mezzi tecnici, come tele e colori acrilici. Ma persistono le tonalità vicine alla sabbia e alla terra, e i colori vengono disposti mediante bastoncini, creando andamenti lineari o campiture puntinate. Per essere dipinte, le ampie tele vengono disposte sulla terra, come nella tradizione.

Pintubi, Tilpakan, 1980. L’opera narra di un viaggio mitico di un serpente che, giunto al luogo prescelto, muta di colore. I segni ondulati rappresentano colline di sabbia.